Studio Legale Silva

venerdì 14 dicembre 2012

L’attività fisica svolta durante la malattia non giustifica di per sé il licenziamento del lavoratore se non pregiudica o ritarda la guarigione ed il rientro in servizio.



La Cassazione, con sentenza n°21938/2012 dello scorso 6 dicembre, ha dichiarato illegittimo il licenziamento del lavoratore che, durante il periodo di malattia svolga attività fisica se, questa, non è tale da mettere concretamente in pericolo l’equilibrio fisico del lavoratore e quindi, la sua capacità di adempiere correttamente alla prestazione.
Il caso ha riguardato un lavoratore licenziato dall’azienda perché durante l’assenza dal lavoro per malattia, si era dedicato ad attività edili per il suo fondo e sui terreni circostanti. Secondo il datore di lavoro infatti, con questo comportamento, il lavoratore avrebbe violato i doveri di correttezza e buona fede tale da giustificare il licenziamento.
Il Tribunale di primo grado, respingeva la domanda del lavoratore; la Corte d’appello, invece, annullava il licenziamento e ordinava la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro. L’azienda ricorreva in Cassazione.
Secondo gli Ermellini, “la valutazione dell’attività fisica svolta dal lavoratore durante la malattia, non può essere valutata “ex ante”, in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte dal medesimo, al fine di accertare se la stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione.
Ne consegue, che il recesso è giustificato non solo quando l’attività esterna svolta dal lavoratore sia per sé sufficiente a far presumere la fraudolenta simulazione della malattia ma anche nelle ipotesi in cui, la medesima attività, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolta, possa realmente pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio in violazione dei doveri di correttezza e buona fede e, degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà”.
Nel caso di specie, continua la Corte, non v’era nessuna prova che l’attività svolta dal lavoratore durante la malattia, avesse messo in pericolo il suo equilibrio psico fisico e, conseguentemente la sua capacità di adempiere alla prestazione lavorativa.
Inoltre, il dipendente era rientrato tempestivamente a lavoro dopo il periodo di malattia, e che soltanto successivamente si era verificata a suo carico una intossicazione farmacologica, per cui era da escludere qualsiasi collegamento con il comportamento tenuto dal lavoratore durante la malattia.
Infine la Corte, ha respinto anche l’istanza con cui l’azienda chiedeva “l’applicazione dello ius superveniens rappresentato dalla legge n. 92/2012 ed in particolare la sua disposizione modificativa della disciplina delle conseguenze dell’accertata illegittimità del licenziamento, in quanto tale norma non è applicabile ”ratione temporis” alla fattispecie in esame che è stata decisa nel vigore della precedente formulazione dell’articolo 18 della legge n. 300/70”.

Nessun commento:

Posta un commento