Secondo le stime dell’ISTAT, i lavoratori a tempo determinato sono in totale circa 2,45 milioni comprendendo anche circa 515 mila somministrati.
Si definisce contratto a tempo determinato quello
che prevede sin dall’inizio un termine finale e che ha quindi una durata
prestabilita.
È importante
sottolineare che il lavoratore a tempo
determinato ha gli stessi diritti di quelli assunti a tempo indeterminato che svolgano la stessa attività o che abbiamo lo stesso inquadramento
contrattuale. Gli spettano quindi le ferie, la gratifica natalizia, la
tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento
in atto nell’impresa, a meno che non sia obiettivamente incompatibile con la
natura del contratto.
L’azienda deve
anche rispettare il principio di non discriminazione, impartendo al lavoratore
ad interim una formazione specifica in materia di sicurezza che gli permetta di
esercitare al meglio la mansione per la quale è stato assunto.
Gode inoltre del medesimo
trattamento previdenziale e degli stessi diritti in caso di malattia,
infortunio, maternità ecc.
Il contratto a termine può
essere stipulato per ragioni di ordine tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche
se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro, tranne il primo che
può essere siglato anche in assenza di tali motivazioni e per una durata
massima di dodici mesi.
Non si può invece assumere
lavoratori a termine determinato per sostituirne altri in sciopero, per le aziende che abbiano effettuato licenziamenti collettivi nei sei mesi
precedenti l’assunzione, per le società ammesse alla Cassa Integrazione Guadagni e per quelle che non rispettano le
normative sulla sicurezza sul lavoro.
L’assunzione deve poi risultare
da atto scritto (una copia del quale deve
andare al lavoratore entro cinque giorni dalla stipula) che specifichi il
motivo del tempo determinato; quando tali spiegazioni non sono presenti, il
contratto si considera a tempo indeterminato. Se però il contratto è inferiore
a dodici giorni, la forma scritta non sarà necessaria.
Il termine finale del contratto può essere
prorogato una sola volta se esso è inferiore a tre anni o nel caso sussistano
ragioni oggettive. In ogni caso, la durata complessiva del rapporto (durata
iniziale + proroga) non può superare i 3 anni.
Per quanto riguarda il primo
contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi, stipulato in assenza delle ragioni di ordine tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo (introdotto dalla Riforma Fornero),
non può essere prorogato.
Quando il rapporto di lavoro supera i 3 anni, compresi di proroghe
e rinnovi, esso diventa a tempo indeterminato a partire dalla scadenza dell’ultimo termine.
Due eccezioni riguardano i dirigenti e i lavoratori
del settore del trasporto aereo per i quali le regole del contratto a
termine sono differenti: massimo 5 anni per i primi, da 4 a 6 mesi per i
secondi.
Se il
lavoratore viene riassunto con contratto a termine entro 60 o 90 giorni dalla scadenza,
a seconda che il primo contratto fosse di durata rispettivamente inferiore o
superiore a 6 mesi, il secondo contratto viene considerato a tempo
indeterminato.
Alcune categorie contrattuali
sono dotate di una specifica disciplina e non risentono delle norme sui contratti a termine. Tali
categorie sono: contratto di lavoro temporaneo, di inserimento, di
apprendistato, tirocini, stages, lavoro “extra”, dirigenti e rapporti di lavoro
tra datori di lavoro agricoli ed operai assunti a tempo determinato.
Il lavoratore assunto a tempo
determinato non può essere licenziato prima della scadenza del termine se non
per giusta causa o giustificato motivo: la
disciplina è la stessa del lavoratore assunto con contratto a tempo
indeterminato.
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