A
livello costituzionale nazionale è stabilito il principio che la segretezza
della corrispondenza sia tutelata.
Anche
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali stabilisce, al comma 1 dell’art. 21 (Libertà di
espressione), che ogni persona ha
(…) libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa
essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di
frontiera.
E,
come detto, l’art 15 della Costituzione italiana ha introdotto la nozione di
libertà e segretezza della corrispondenza per la prima volta nello Stato
italiano, superando così la visione dello Statuto Albertino che la escludeva.
La
Costituzione del 1948 supera inoltre la “vecchia” visione di corrispondenza,
allargandola a ogni mezzo di comunicazione. L’art. 15 Cost. contiene un
principio supremo e recita:
“La libertà e la
segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono
inviolabili.
La
loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità
giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.
Sulla
scorta di tali principi, si è più volte si è ribadito che il controllo a distanza del lavoratore, della posta
elettronica (e-mail
aziendale) e degli accessi Internet (navigazione Web), non è consentito in base
al Codice della Privacy e all’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Accade
a volte però che in seno al rapporto di lavoro emergano fatti «tali da
raccomandare l’avvio di una indagine retrospettiva». In tali
casi il datore di lavoro è autorizzato a verificare la corretta esecuzione della prestazione
anche accedendo alle e-mail inviate e ricevute dal dipendente.
Ma
c’è di più: se la corrispondenza telematica conferma i sospetti
del datore di lavoro, questa costituisce una giusta causa
di licenziamento.
La
precisazione è frutto dell’ultima sentenza sul tema della Corte di cassazione, la n°2722/2012 intervenuta sul caso di un funzionario di
banca che ha divulgato informazioni aziendali riservate attraverso la posta
elettronica e –scoperto dal datore di lavoro– è stato licenziato per giusta
causa.
La
“giusta causa” per il licenziamento si era configurata anche a fronte del
vantaggio personale che il dipendente aveva tratto diffondendo le notizie
riservate riguardo alcune operazioni finanziarie e violando l’obbligo di
segretezza e correttezza (articolo 2104 del codice civile), nonché il
regolamento interno e il codice deontologico.
Un
comportamento ritenuto «particolarmente lesivo dell’elemento fiduciario».
La
Cassazione ha ritenuto che non era possibile attribuire al datore di lavoro la
violazione delle garanzie ai dipendenti imposte dello Statuto dei lavoratori né
quelle costituzionali, perché in questo caso l’attività di controllo sulle
strutture informatiche aziendali utilizzate dal lavoratore «prescindeva dalla
pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione», ma era
«diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti (poi
effettivamente riscontrati)» e «destinato ad accertare un comportamento che
poneva in pericolo la stessa immagine dell’istituto presso terzi».
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