Studio Legale Silva

martedì 25 settembre 2012

Il licenziamento per "poor performance" cioè per scarso rendimento


L’attuale situazione economica globale impone all’impresa di adoperare scelte volte a raggiungere il maggior grado di efficienza possibile. In tale contesto si inserisce una tematica di estremo interesse: il cosiddetto licenziamento per poor performance, ossia per scarso rendimento.

Tale fattispecie ha da sempre suscitato un ampio dibattito in merito alla relazione intercorrente tra prestazione lavorativa e rendimento.

Infatti, ci si è chiesti se la performance individuale sia un elemento in grado di concorrere a qualificare l’esatto adempimento della prestazione lavorativa o meno e in ogni caso in quale misura.

Senza dubbio può ritenersi superata l’idea che il lavoratore possa limitarsi a mettere le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro. Ciò in quanto si richiede altresì che la prestazione lavorativa sia eseguita con l’impegno e la professionalità media delle mansioni svolte, usando la diligenza richiesta dalla natura dell’attività assegnata al lavoratore ed osservando le disposizioni impartite dall’imprenditore.

In assenza di un riferimento normativo, la giurisprudenza ha da sempre avuto un ruolo determinante nella valutazione delle ipotesi di licenziamento a seguito di prestazioni insufficienti.

Ovviamente sono molti gli interrogativi e le problematiche che seguono tale impostazione. In particolare, in virtù della natura sinallagmatica del rapporto di lavoro può essere considerato legittimo il licenziamento di un lavoratore che non abbia raggiunto il quantum di risultato atteso dal datore di lavoro? E qualora tale soluzione fosse ammissibile, quali sono i limiti e gli oneri probatori entro cui è legittimo esercitare il recesso?

L’orientamento giurisprudenziale consolidato, se, da un lato, ha ammesso che il mancato raggiungimento di quanto oggettivamente esigibile possa essere considerato un inadempimento contrattuale, dall’altro, ha statuito che, affinché il provvedimento espulsivo possa essere considerato legittimo, debba sempre essere fornita prova degli elementi che tradizionalmente caratterizzano le fattispecie del giustificato motivo di licenziamento e dunque o l’aspetto soggettivo del notevole inadempimento contrattuale o il fattore oggettivo delle ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro, l’attività produttiva e il regolare funzionamento di essa.

Per quanto attiene al profilo dell’inadempimento soggettivo, la valutazione sull’opportunità di recedere dal rapporto dovrà tenere conto di numerosi aspetti. In particolare, poiché la prestazione lavorativa può essere influenzata da fattori socio-ambientali che esulano dalle singole capacità, è di assoluta importanza l’individuazione di un parametro di riferimento standard in grado di dimostrare l’oggettiva esigibilità di quanto atteso dal datore di lavoro. In tal caso, la prova è rinvenibile anche per presunzioni tramite la valutazione delle prestazioni medie degli altri lavoratori adibiti alle medesime mansioni nella stessa unità (Cass. 3 maggio 2003, n. 6747). Sicché, in ossequio a tale principio, si può ipotizzare di giungere presuntivamente alla dimostrazione della negligenza del lavoratore, facendo riferimento alla rilevante sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione e quanto dal lavoratore effettivamente realizzato (Cass. 22 gennaio 2009, n. 1632).

Allo stesso modo è stato ritenuto legittimo ed ammissibile il licenziamento per scarso rendimento nel caso in cui il lavoratore manifesti un atteggiamento negligente protratto nel tempo e non modificato a seguito dei richiami dei suoi superiori (Cass. 1° dicembre 2010, n. 24361).

Principi non meno rigorosi devono presiedere alla valutazione dello scarso rendimento, qualora si intenda attribuire ad esso rilevanza ai fini di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ad esempio, potrebbero costituire un giustificato motivo oggettivo “sopravvenuto”, una modifica della condizione fisica o mentale del lavoratore, che lo renda inidoneo alla mansione assegnatagli (sempre che lo stesso non possa essere ricollocato in una posizione diversa) ovvero l’incapacità del lavoratore di adeguarsi all’introduzione di innovazioni tecnologiche nell’impresa tale da incidere negativamente sul regolare funzionamento dell’organizzazione produttiva.
In tali situazioni, il datore di lavoro è comunque onerato della dimostrazione di essersi attivato per prevenire o rimuovere situazioni ostative allo svolgimento dell’attività lavorativa che possano aver condizionato negativamente la prestazione del lavoratore (Cass. 9 aprile 2009, n. 8720).

Un campo, quindi, quello del licenziamento per poor performance sempre da valutare con estrema prudenza e con un’attenta disamina della sussistenza di adeguati supporti probatori.

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