Studio Legale Silva

venerdì 9 marzo 2012

La vicenda delle cosiddette "clausole di gravidanza" nei contratti di lavoro autonomo ha destato comprensibile scalpore nell’opinione pubblica e nei mezzi d’informazione.
E’ appena il caso di ricordare che per la lavoratrice dipendente vige il divieto di licenziamento dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino (con pochissime eccezioni).
In aggiunta a ciò, qualsiasi atto discriminatorio per ragioni connesse al sesso o allo stato di gravidanza o maternità è da ritenersi senz’altro nullo. Ma il livello di protezione della gravidanza cambia non appena si esce dal perimetro del lavoro subordinato.
Una collaboratrice coordinata e continuativa «a progetto» ha diritto, in caso di gravidanza, solo ad una sospensione del rapporto contrattuale senza corrispettivo, con proroga della scadenza naturale del contratto di centottanta giorni (salvo diversa e più favorevole disciplina del contratto individuale).
Le lavoratrici autonome non rientranti nella categoria appena menzionata, infine, pur essendo tutelate dal punto di vista previdenziale, non hanno, in caso di impedimento della prestazione dovuto alla gravidanza, alcuna forma di protezione del rapporto lavorativo.
Quest'ultimo punto, tuttavia, apre tutta una serie di considerazioni circa la reale portata dei contratti di lavoro autonomo (con partita IVA) i quali, spesso e volentieri nascondono posizioni lavorative sostanzialmente subordinate. Si pensi alle ipotesi di "monocommittenza".
Quando tra aziende e questo tipo di lavoratrici nascono dei problemi (di qualiasi tipo), la vicenda deve necessariamente passare da un Tribunale del Lavoro, con tutte le conseguenze del caso, dato che non esiste una regolazione precisa della materia. Forse sarebbe il caso di metterci mano.
 

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