Studio Legale Silva

domenica 13 gennaio 2013

La Cassazione annulla un licenziamento per il ritardato invio del certificato di malattia



Quando si ha a che fare con un lavoratore in stato di malattia (non fasulla), le aziende debbono avere molta cautela ed agire non spinti dall’impulso o da motivazioni anche comprensibili o ragionevoli.




Ciò significa che, accertata la malattia del dipendente, qualsiasi decisione che l’azienda avrebbe voluto adottare, va sospesa alla conclusione della malattia medesima, per quanto lunga possa essere l’attesa.




Questo tipo di atteggiamento aziendale di attesa, metterebbe al riparo i datori dalle elevatissime probabilità negative di vertenza e tranquillizzerebbe i lavoratori che avrebbero tutto il tempo di recuperare e di ritornare in efficienza.




Anche nel caso di invio in ritardo del certificato di malattia, le aziende devono agire non impulsivamente ed, al limite, devono sanzionare il fatto come un episodio di mero ritardo e non equipararlo ad un mancato invio del certificato.




L’episodio descritto qui appresso è emblematico: secondo la Cassazione da un lato in presenza di una malattia effettiva, l’invio in ritardo del certificato medico deve essere considerato un “peccato veniale” e non un fatto grave e dall’altro lato lo stato di malattia impedisce di mettere sullo stesso piano il lavoratore per la scelta di coloro i quali debbono essere posti in mobilità secondo i criteri della L.n°223/1991.




Con sentenza n. 106/2013 la Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore, realmente malato, che aveva inviato con cinque giorni di ritardo una certificazione per una malattia di tre mesi: al contempo, il datore di lavoro aveva intimato, nel caso non fosse andato a buon fine il primo licenziamento, un altro provvedimento di recesso all’interno di una procedura di mobilità per la quale era stato esperito l’iter.




La Suprema Corte ha annullato anche il, secondo licenziamento.




Le motivazioni della decisione fanno riferimento al fatto (primo licenziamento) che la sanzione espulsiva risulta eccessiva rispetto alla previsione del CCNL di settore ed, inoltre, l’imprenditore era a conoscenza dello “status” avendo ricevuto in precedenza altri certificati non oggetto di alcuna contestazione.




Per quel che riguarda il secondo licenziamento la Suprema Corte lo ha ritenuto illegittimo “perché dopo un primo licenziamento individuale il secondo non può essere collettivo, né consistere nel collocamento in mobilità”, in quanto la situazione di sospensiva riferita al licenziamento individuale non consente la necessaria comparazione tra i lavoratori secondo la previsione sui criteri di scelta ex art. 5 della legge n. 223/1991.




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