Corte di cassazione - Sezione lavoro - Sentenza 26 aprile 2012 n. 6498 (Fonte: Guida al diritto).
La “vita privata” entra a gamba tesa nel rapporto di lavoro. Chi durante un
controllo di polizia viene fermato e trovato in possesso di hashish, infatti,
rischia di perdere il posto. E non importa se era in vacanza “in piena estate”
in una località di mare ( in questo caso della Sardegna) e il controllo delle
forze dell’ordine è avvenuto durante la notte, tra sabato e domenica. Il
disvalore della condotta è tale da minare il rapporto fiduciario tra l’azienda e
il dipendente. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sentenza 6498/2012,
accogliendo il ricorso di Unicredit Banca contro un proprio funzionario di primo
livello che dopo essere stato licenziato ed aver perso davanti al tribunale di
Nuoro, aveva però vinto in Appello, a Sassari, ed era stato reintegrato allo
sportello con tutti gli arretrati.
Con una sentenza à la page, dunque, la Corte di Appello aveva
ritenuto eccessiva la sanzione del licenziamento perché seppure “la detenzione
di sostanze stupefacenti non va condivisa”, una cosa è l’uso personale ed altra
lo spaccio. Soltanto quest’ultimo infatti comporterebbe la frequentazione di un
ambiente “pericoloso” che “certo può costituire giusta causa del venire meno del
rapporto fiduciario”, tanto più considerato il tipo di impiego presso un
istituto di credito a contatto col pubblico e con il costante maneggio di
denaro. Ma, ha affermato la Corte territoriale, l’uso personale della droga
integra “una condotta molto meno grave” di cui non si può non tener conto. E
quindi ha annullato il licenziamento.
Una ricostruzione che però non ha convinto la Suprema corte secondo cui le
affermazioni dei giudici di Sassari sono “assertive, non fondate su prove” e
dunque “non possono essere ricondotte ai canoni giuridici delle massime di
esperienza, o dei fatti notori”.
Non ha convinto più di tanto gli ermellini la differenza fatta dalla Corte di
appello tra marjuana e hashish e droghe pesanti quali eroina o crack. Dove le
prime non darebbero assuefazione, né indurrebbero una modifica delle
personalità. E non solo, il basso costo le renderebbe alla portata di tutti e
dunque il consumo non costituirebbero un rischio per l’istituto di credito.
Infine anche la riprovazione sociale sarebbe bassa, e quindi il danno d’immagine
per l’istituto modesto.
E anche se, riconoscono i giudici, per la cocaina andrebbe fatto un discorso
diverso, è palese che il bancario non era un consumatore abituale “perché se
tale fosse stato non si sarebbe accontentato di merce di qualità così infima e
di una così scarsa dose”.
Insomma, per i giudici di Appello l’intero episodio “attiene alla sfera
rigorosamente privata” e non è più grave di quello “del dipendente che viene
trovato nella notte tra sabato e domenica, ubriaco” dopo aver acquistato “una
massiccia dose di alcolici”.
Opposta la presa di posizione della Cassazione che riconduce un fenomeno
sociale molto diffuso come quello del fumo delle “canne” nel novero dei
comportamenti gravi che, ex articolo 2119 del codice civile, autorizzano il
recesso per giusta causa, anche se tenuti fuori dall’azienda.
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