Studio Legale Silva

martedì 29 gennaio 2013

Rinnovo senza intervalli di 60 o 90 giorni per i contratti a termine per sostituzione maternità.



Il contratto a tempo determinato stipulato per la sostituzione di lavoratrici in congedo di maternità può essere rinnovato senza rispetto degli intervalli di 60 o 90 giorni previsti dalla riforma Fornero
Una delle causali più diffuse della stipula dei contratti a termine è quella riguardante la sostituzione di lavoratrici assenti per maternità, assenti da lavoro per il congedo obbligatorio di 5 mesi. Data la frequenza dell’evento maternità per le lavoratrici italiane, molte aziende ricorrono al contratto a termine per ragioni giustificative per assumere a tempo determinato lavoratori in loro sostituzione. Possibilità specificamente prevista dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001.
La riforma del mercato del lavoro ha introdotto importanti novità per i contratti a termine: gli intervalli per il rinnovo del contratto sono stati elevati a 60 e 90 giorni, provocando non pochi problemi ai lavoratori col contratto scaduto ed alle imprese che glielo devono rinnovare. L’intervallo è il lasso di tempo che deve passare tra la scadenza di un contratto a termine e il rinnovo del rapporto tra le parti attraverso la stipula di un altro contratto, sempre a tempo determinato.
Gli intervalli di 60 e 90 giorni previsti dalla riforma Fornero: prima della riforma gli intervalli erano rispettivamente di 20 giorni, per i contratti scaduti fino a 6 mesi, e di 30 giorni per i contratti superiori a 6 mesi. Dal 18 luglio 2012 in poi gli intervalli sono passati a 60 giorni per i contratti fino a 6 mesi e 90 giorni per i contratti superiori a 6 mesi. Vediamo cosa succede ai contratti a termine per ragioni giustificative.
I contratti a termine per espressa previsione del Decreto Legislativo n. 151 del 2001 possono essere stipulati anche per ragioni sostitutive, che vanno dalla sostituzione per lavoratore destinato ad una trasferta o distaccato, alla sostituzione per inidoneità temporanea al lavoro, dalla sostituzione dei lavoratori per sciopero alla sostituzione più diffusa, ossia quella per l’assenza da lavoro per maternità.
Ed è proprio su quest’ultimo caso che si è reso necessario un chiarimento ministeriale sul rispetto degli intervalli per il rinnovo del contratto a termine. Era importante capire, data la particolarità del contratto, che si esaurisce al rientro della lavoratrice madre, se le società che hanno assunto un lavoratore per ragioni sostitutive possono utilizzare lo stesso lavoratore per ulteriori sostituzioni per maternità, senza rispettare gli intervalli.
La risposta del Ministero. Il 4 ottobre 2012 il Ministero del lavoro ha specificato che è possibile, in caso di sostituzione di una dipendente in maternità, la riassunzione di una dipendente già assunta in precedenza con contratto a termine, senza che sia necessario attendere l’intervallo di tempo di 60 o 90 giorni previsto dalla legge n. 92 del 2012, ossia dalla riforma Fornero. Quindi niente intervalli per le sostituzioni per maternità e la motivazione, secondo l’interpretazione ministeriale, è che il Testo unico sulla maternità prevale sulla normativa riguardante il contratto a termine.
Più precisamente, l’art. 4, comma 1, del D. Lgs. 151 del 2001, prevale sull’art. 5 del D. Lgs. n. 368 del 2001 che riguarda la successione dei contratti nel contratto a tempo determinato. L’art. 4 comma 1 stabilisce che “in sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni de presente Testo Unico, il datore di lavoro può assumere personale con contratto a tempo determinato o temporaneo, ai sensi rispettivamente, dell’art. 1, comma 21, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230, e dell’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196, e con l’osservanza delle disposizioni delle leggi medesime”.
In buona sostanza, essendo sorto il contratto per specifiche e particolari ragioni giustificative, alla data dell’effettivo rientro della lavoratrice in maternità, il contratto si esaurisce senza possibilità di proroga (che è senza intervalli). Per questa ragione, le parti, datore di lavoro e lavoratore, possono stipulare un nuovo contratto di lavoro liberamente, senza intervalli, riguardando altre eventuali ragioni giustificative, come ad esempio la sostituzione di un’altra lavoratrice in congedo di maternità.

venerdì 25 gennaio 2013

La nuova normativa sulle Partite IVA. Scheda



Con il Decreto Ministeriale del 20 dicembre 2012 e la successiva Circolare n. 32 del 27 dicembre 2012, il Ministero del Lavoro chiarisce quando scatta la trasformazione del contratto aziendale della Partita IVA in collaborazione a progetto o assunzione a tempo indeterminato.
Il comma 26 dell'articolo 1 della Riforma (L.n°92/2012) stabilisce che la prestazione lavorativa resa da un titolare di partita IVA è da considerarsi, salvo prova contraria a carico del committente, un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano due delle seguenti circostanze:
#) durata superiore a otto mesi nell'arco dell'anno solare: la circolare chiarisce che significa 241 giorni lavorati, anche se non continuativi. Per i rapporti in essere all'entrata in vigore della Riforma (luglio 2012), la norma inizia a produrre effetti dal 2014 perché si applica dal 18 luglio 2013 (adeguamento di 12 mesi).
#) corrispettivo superiore all'80% di quanto complessivamente percepito dal collaboratore nell'anno solare: la disposizione serve a individuare e scoraggiare situazioni di mono-committenza.
#) postazione fissa di lavoro presso una sede del committente: la circolare precisa che sono comprese anche quelle ad uso non esclusivo.
La trasformazione del contratto non è invece dovuta quando il lavoro prestato non è:
§) connotato da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività: il "grado elevato" delle competenze e le rilevanti esperienze possono essere comprovate da titoli di studio, qualifiche o diplomi da apprendistato, qualifiche o specializzazioni attribuite da un datore di lavoro per almeno dieci anni.
§) svolto da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte un minimale annuo che, chiarisce il ministero, per il 2012 è pari a 14mila 930 euro (moltiplicato per 1,25, significa un reddito di 18mila 662 euro).
Non scatta la presunzione di subordinazione nemmeno nel caso di prestazioni lavorative svolte nell'esercizio di professioni regolamentate da un ordine, collegio, albo. In allegato al citato Decreto del 20 dicembre 2012 vi è l'elenco degli ordini professionali riconosciuti.
La norma prevede che la Partita IVA che non abbia i requisiti richiesti per essere tale sia automaticamente da considerarsi un contratto a progetto. E quindi il rapporto tra azienda e lavoratore, essendo un contratto a progetto, deve essere riconducibile a uno o più progetti specifici, e deve quindi rispettare la normativa relativa ai co.co.pro. (ad es, il ministero del Lavoro ha chiarito quali sono i lavori a cui non si può mai applicare il contratto a progetto, come i call center).
Se la partita IVA, presunta "falsa", non rispetta nemmeno i requisiti del contratto a progetto, il contratto di lavoro diventa automaticamente a tempo indeterminato.
Una delle caratteristiche principali della nuova norma, dal punto di vista operativo, è l'inversione dell'onere della prova: non è più il lavoratore a dover dimostrare che in realtà il rapporto di lavoro maschera un tempo indeterminato a un'altra forma contrattuale, è l'azienda che, chiamata in causa, deve poter dimostrare il contrario.

lunedì 21 gennaio 2013

Il Caso - il dirigente licenziato a seguito dell’accorpamento della posizione di Direttore Generale con quella di Amministratore Delegato.



Da un articolo del “Sole 24 Ore”, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 890 del 16 gennaio 2013, ha puntualizzato che il licenziamento del dirigente è legittimo se l’azienda assegna la sua posizione organizzativa ad un altro soggetto, in questo caso all’Amministratore delegato, pur senza sopprimerla del tutto.
 La sentenza è interessante in quanto, tra l’altro, mette in evidenza la questione del parallelismo e dell’eventuale sovrapposizione delle funzioni e dei ruoli dei dirigenti apicali con quelli dei membri del consiglio d’amministrazione.
Pur non entrando eccessivamente nel merito, la decisione in commento presuppone che la funzione di massimo dirigente apicale (Direttore Generale) possa essere effettivamente e legittimamente adempiuta dall’Amministratore Delegato.
La cosa, evidentemente, è tanto più rilevante in quanto, a differenza del D.G., l’A.D. non è un lavoratore dipendente subordinato il cui rapporto con l’azienda non presuppone tutti i diritti, i privilegi e le tutele tipiche di un contratto dirigenziale.
 La Suprema Corte ha deciso relativamente ad un procedimento, instaurato da un dirigente che dapprima era stato assunto come direttore amministrativo, poi promosso a direttore generale e, infine, per un breve periodo insignito della carica di amministratore delegato.
Allo scadere del mandato come amministratore delegato, il dirigente era tornato alle mansioni di direttore generale, ma immediatamente dopo era stato licenziato.
L’azienda aveva giustificato il provvedimento espulsivo con la volontà di accorpare la posizione lavorativa di direttore generale con quella di amministratore delegato e di eliminare la prima.
Il dirigente impugnava il licenziamento in quanto riteneva immotivata la decisione aziendale, ma la Cassazione rigettava il ricorso, allineandosi con la decisione dei giudici di merito.
I Giudici ribadivano che il licenziamento del dirigente non deve trovare fondamento in una giusta causa o in un giustificato motivo, così come non vi è l’obbligo per l’azienda di ricollocare il dirigente in posizioni equivalenti. La giustificatezza del licenziamento nel caso del dirigente si sostanzia nell’escludere che le motivazioni sottostanti siano pretestuose o arbitrarie.
Secondo la sentenza la scelta di accorpare in capo all’amministratore delegato i compiti del direttore generale non è una motivazione arbitraria, né tanto meno pretestuosa, in quanto non serve sopprimere la posizione lavorativa per giustificare il licenziamento del dirigente, ma basta che la suddetta posizione venga accorpata in capo ad altri.
Sicuramente per giustificare il licenziamento di un dirigente occorrono ragioni organizzative meno forti di quelle di solito necessarie per giustificare il recesso di un altro dipendente, quindi da parte delle imprese c’è una maggiore discrezionalità nelle gestione del rapporto di lavoro con i propri dirigenti.

mercoledì 16 gennaio 2013

La responsabilità solidale nel regime degli appalti.



Con il D.Lgs.n°276/2003, veniva abolita la legge n. 1369/60 relativa al divieto di intermediazione di manodopera, dando così la possibilità alle aziende di rivolgersi a ditte specializzate per la fornitura di “appalti di servizi”, precedentemente vietati.
L’importante novità normativa è consistita nel far sorgere un regime solidaristico tra committente ed appaltatore e, conseguentemente, istituire delle garanzie a favore dei lavoratori.
Cardine di tutto il sistema è, quindi, il vigente art. 29, comma 2, del decreto legislativo n. 276/2003 (LEGGE BIAGI), il quale sancisce che, il committente risponde in solido con l’appaltatore nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori (e l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore) sia per i trattamenti retributivi che per i contributi previdenziali e assicurativi, escluso l'obbligo per le sanzioni civili delle quali risponde solo il responsabile dell'inadempimento, nei limiti temporali di due anni dal termine dell’appalto.
OGGETTO DELLA SOLIDARIETA’: la legge ha fatto sì che·l'appaltatore ed il committente siano obbligati in solido, a corrispondere i trattamenti retributivi e contributivi ai lavoratori che partecipano all’appalto e che, in ipotesi, non siano stati corrisposti dall’appaltatore ai propri dipendenti.
Sulla materia della responsabilità solidale nell’appalto, vi è da sottolineare l’apporto del cosiddetto decreto semplificazioni (il decreto legge 9 febbraio 2012 n. 5).
(#) all'interno del perimetro della solidarietà negli appalti ricadono, oltre ai già previsti trattamenti retributivi, limitatamente al periodo di esecuzione del contratto stesso, anche le quote del TFR maturate dai lavoratori ivi impiegati;
(#) oltre ai contributi previdenziali, rientrano nell'obbligo solidaristico anche i premi assicurativi (anche in questo caso si tratta solo di quelli maturati nel corso del periodo d'esecuzione del contratto d'appalto);
(#) resta, invece, escluso dal vincolo solidaristico che caratterizza il committente (o l'appaltatore a sua volta committente nell'ambito del subappalto) qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde, pertanto, il solo datore di lavoro responsabile dell'inadempimento: ciò ha rappresentato una novità, in quanto il Ministero del lavoro aveva precedentemente ritenuto sussistere la solidarietà per tali sanzioni in quanto aventi natura risarcitoria.
Tra l’altro, la legge ha previsto la possibilità al committente, prima del suo coinvolgimento in una eventuale fase esecutiva, di poter esigere la preventiva escussione dell’appaltatore. Salva ed espressamente formulata la possibilità per il committente che ha eseguito il pagamento di agire in regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.
Tutto ciò non tocca i committenti pubblici ai quali trova applicazione la disposizione di cui all’articolo 1676 del codice civile.
LIMITI TEMPORALI: Il vincolo della solidarietà viene meno dopo due anni dalla cessazione dell’appalto (o, in presenza di subappaltatori, dopo due anni dalla cessazione del subappalto). Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha precisato che tale limite si riferisce al contratto di appalto tra committente e appaltatore e pertanto, nell'ambito dei rapporti tra appaltatore e subappaltatore, decorre dalla cessazione dei lavori del subappaltatore, non dalla cessazione dell’appalto (del contratto cioè tra committente e appaltatore). In buona sostanza “i due anni, nel caso di subappalto, non possono che decorrere dalla data di cessazione dei lavori eseguiti dal subappaltatore, in forza del relativo contratto di subappalto”. Per gli appalti che durano molti anni, in cui si susseguono diversi subappaltatori, l'appaltatore principale non rimane legato con tutte le imprese subappaltatrici per l'intero periodo.
SOGGETTI BENEFICIARI Il vincolo della solidarietà tutela tutti i “lavoratori”, dunque non solo i lavoratori subordinati ma anche quelli impiegati nell’appalto con altre tipologie contrattuali (ad es. collaboratori a progetto), nonché quelli in nero, purché impiegati direttamente nell’opera e nel servizio oggetto dell’appalto.
SOGGETTI OBBLIGATI Sono responsabili solidali: il committente, chiamato a rispondere con l’appaltatore, nonché con gli eventuali subappaltatori ex art.29, comma 2 citato e l’appaltatore, chiamato a rispondere in solido eventualmente con i subappaltatori.
I riferimenti normativi e regolamentari:
Art. 1292 c. c. nozione di solidarietà.
Art. 1655 c. c. nozione di appalto.
Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 2 (LEGGE BIAGI).
Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n.248 art. 35, comma 28 (LEGGE BERSANI).
Decreto legge 9 febbraio 2012 , n. 5, convertito, con modificazioni, nella legge 4 aprile 2012 n.35, art. 21 (DECRETO SEMPLIFICAZIONI).
Decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni nella legge 26 aprile 2012 n 44, art. 2, comma 5 bis.
Legge 28 giugno 2012, n. 92, art. 4, comma 31, lett. a) e b).
Legge 7 agosto 2012, n. 134 di conversione con modificazioni, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, art, 13 ter.
Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 5 dell’11 febbraio 2011.
Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 2 del 16 febbraio 2012.
Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 17 dell’11 luglio 2012.