Il trasferimento del lavoratore consiste in uno
spostamento definitivo e senza limiti di durata da una sede di lavoro ad
un'altra (Cass. 23 aprile 1985, n. 2681), a differenza dell’istituto della “trasferta” che consiste in uno
spostamento solo temporaneo.
Il trasferimento dei lavoratori è regolato rigidamente dalla
legge. Più precisamente, l’art. 2103 c.c. dispone che il trasferimento possa
essere attuato solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche
organizzative o produttive".
I trasferimenti, quindi, devono
essere motivati da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive
e avvenire obbligatoriamente da unità
produttiva ad un’altra unità produttiva nell’ambito della stessa azienda.
In altre parole, il trasferimento presuppone che nonostante la
modifica del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, resti invariato
il datore di lavoro, a differenza dell’istituto
del “distacco” in cui il lavoratore opera
presso un datore di lavoro diverso.
Per giurisprudenza costante, quindi, un lavoratore può
essere trasferito solo a condizione che l’azienda sia in presenza e possa dimostrare i
seguenti presupposti:
·
l'impossibilità e/o
inutilità dell’impiego di tale lavoratore nella sede di provenienza;
·
la necessità e/o
opportunità della presenza di quel lavoratore, con la sua particolare
professionalità, nella sede di destinazione;
·
la serietà e
ragionevolezza delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel
lavoratore e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.
L’analisi della legittimità del
trasferimento, peraltro, si deve limitare all’accertamento della sussistenza
delle suddette ragioni tecniche, organizzative e produttive, mentre è
insindacabile la scelta del datore di lavoro tra diverse soluzioni
organizzative adottabili, che ineriscono questo o quel lavoratore ovvero questo
o quel reparto.
La Giurisprudenza ha individuato
(tra gli altri) ulteriori limiti rispetto a quelli legali. I principali
sono:
·
i motivi di
trasferimento devono sussistere al momento in cui viene deciso e non dopo;
·
le ragioni del
trasferimento devono essere oggettive. Non valgono, ad esempio, le scelte fatte
come sanzioni disciplinari a meno che la condotta del lavoratore non corrobori
le ragioni tecniche, organizzative e produttive che convalidano il
trasferimento (ad esempio, per incompatibilità con i colleghi che causa un
danno produttivo e/o organizzativo);
·
deve sussistere un
rapporto di causalità tra ragioni organizzative e lavoratore trasferito;
·
il trasferimento deve
essere sempre finalizzato al miglior funzionamento dell’azienda e legata alle
particolari attitudini del lavoratore a ricoprire il nuovo posto di lavoro.
Anche la contrattazione
collettiva può stabilire ulteriori limitazioni (inseriti nei vari C.C.N.L.) al potere del datore di lavoro di disporre
i trasferimenti e possono riguardare tutti i dipendenti o solo alcune
categorie.
Ad esempio, sono legittimi i
trasferimenti causati dall’apertura di una nuova filiale, da esigenze di
incremento di organico nel luogo di destinazione e dall’esigenza di chiusura di
reparti, mentre sono illegittimi i trasferimenti per un temporaneo
aumento di attività.
Inoltre, se un C.C.N.L.
subordina la legittimità di un trasferimento anche alla valutazione delle esigenze
familiari del lavoratore, tale disposizione costituisce garanzia di cui il
datore di lavoro deve tener conto.
Tutte queste ragioni debbono essere portate a conoscenza
del lavoratore per iscritto, quantomeno in sintesi, prima del trasferimento. Si
ritiene che un termine congruo possa
consistere nel termine di preavviso
al fine di informare per tempo il lavoratore al trasferimento.
Se la lettera non contiene l'indicazione delle ragioni e
delle motivazioni, il lavoratore ha diritto di richiederle espressamente.
In mancanza delle condizioni sopra indicate, il
trasferimento può essere illegittimo e può essere annullato dal giudice del
lavoro, a cui l’interessato deve rivolgersi se ritiene di opporvisi.
La Legge 183/2010 (il c.d. Collegato
Lavoro) ha introdotto dei termini di
decadenza per l’impugnazione del provvedimento con cui il datore di lavoro
dispone il trasferimento del lavoratore da una sede a un’altra (60 giorni).
In altre parole, trascorsi 60 giorni dal trasferimento, il
provvedimento dell’azienda diventa definitivo e non può più essere contestato,
in nessuna sede.
Il lavoratore che si oppone al trasferimento perché da lui considerato
illegittimo, può anche rifiutarsi di ottemperare (eccezione di inadempimento ex
art. 1460 C.C.), ma non può rifiutarsi di offrire la propria prestazione
lavorativa all’azienda, ovviamente nella sede originale.
Nel caso in cui, invece, il lavoratore ottemperi se il
provvedimento viene dichiarato illegittimo l’azienda dovrà anche risarcire i
danni derivati dal trasferimento del lavoratore e della sua famiglia.