Studio Legale Silva

mercoledì 28 marzo 2012


Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e riduzione del costo del lavoro

(Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 24 febbraio 2012, n. 2874)

Costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento un riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall’imprenditore, non pretestuosamente e non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni - non meramente contingenti - influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario, senza che sia rilevante la modestia del risparmio in rapporto al bilancio aziendale.
Una piccola azienda in crisi licenzia tre dipendenti e poi assume due apprendisti per sostituirli, poco tempo dopo delocalizza la produzione in Romania e cessa l’attività. Uno dei tre lavoratori licenziati impugna il licenziamento e propone ricorso. Il licenziamento viene ritenuto illegittimo sia in primo grado che in appello, essenzialmente per la successiva assunzione dell’apprendista. Il ricorso in Cassazione proposto dall’azienda viene accolto dalla S.C. che cassa con rinvio la sentenza di merito. Ribadendo il consolidato orientamento il Supremo Collegio statuisce che costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento “l’ipotesi di un riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall’imprenditore, non pretestuosamente e non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni - non meramente contingenti - influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario, senza che sia rilevante la modestia del risparmio in rapporto al bilancio aziendale, in quanto, una volta accertata l’effettiva necessità della contrazione dei costi, in un determinato settore di lavoro, ogni risparmio che sia in esso attuabile si rivela in diretta connessione con tale necessità e quindi da questa oggettivamente giustificata”.
Nell’esprimere il principio, la Cassazione richiama due precedenti: le Sezioni Unite dell’11 aprile 1994, n. 3353 e la sentenza del 10 maggio 1986, n. 312.
Invero nel primo dei precedenti richiamati, il Supremo Collegio aveva escluso che potesse sostituirsi un lavoratore con un altro meno costoso al mero fine di risparmiare sul costo del personale. In quel caso, infatti, le Sezioni Unite, avevano ritenuto il recesso intimato a un’insegnante laica sostituita da una religiosa che svolgeva attività didattica a titolo gratuito, non sorretto da giustificato motivo oggettivo, argomentando che se diventassero “rilevanti le economie sulle retribuzioni dei dipendenti, ogni datore di lavoro potrebbe licenziare i suoi lavoratori più anziani per sostituirli con quelli più giovani, che per ragioni di età e di carriera, hanno diritto a retribuzioni inferiori”. La S.C. precisava, tuttavia, che la scelta espulsiva sarebbe stata legittima ove legata ad “una diversa organizzazione aziendale, imposta dalle necessità finanziarie…o…dall’esigenza di produrre a costi più competitivi”, e non ad un mero “risparmio sulla retribuzione dovuta al personale dipendente”.
Nell’altro precedente richiamato, la Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto giustificato il licenziamento di lavoratori agricoli salariati fissi sostituiti con operai avventizi per far fronte a necessità stagionali, dal momento che l’azienda agricola aveva dimostrato la sussistenza dell’esigenza di procedere ad una riorganizzazione del lavoro al fine di riequilibrare il rapporto costi - ricavi mediante una riduzione degli oneri retributivi e previdenziali, pena l’uscita dell’impresa dal mercato (Cass., sez. lav., 10 maggio 1986, n. 3127).
La sentenza annotata fa applicazione di tali principi specificando che, sulla base delle circostanze emerse nel giudizio di merito, non si era realizzata una “mera sostituzione di un lavoratore a tempo indeterminato con un apprendista”, bensì un “ridimensionamento di personale” dettato dalla necessità, comprovata dalla reale difficoltà economica, di contenere i costi, difficoltà poi confermata dalla successiva delocalizzazione e cessazione dell’attività.
Quindi, l’illegittimità del licenziamento per sostituzione del lavoratore con uno meno costoso (anche ove si tratti di un collaboratore a progetto: cfr. Cass., sez. lav., 19 gennaio 2012, n. 755) permane fintantoché il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare un più ampio processo di riorganizzazione produttiva dovuta ad una crisi o ad una ridotta produttività che rende non più sostenibile il costo del lavoro attuale.
Il divieto di sostituzione opera peraltro solo con riferimento all’epoca del licenziamento ed a quella immediatamente successiva. Dopo il trascorrere di un congruo periodo, il datore può procedere a nuove assunzioni (cfr. Cass., sez. lav., 20 maggio 2009, n. 11720 dove la S.C. ha confermato la sentenza di merito che ha ritenuto congruo un periodo di otto mesi dalla data del recesso).

martedì 27 marzo 2012


Licenziamento legittimo in caso di scarso rendimento

Sentenza Corte di Cassazione, 1 dicembre 2010, n. 24361

 
La disciplina del licenziamento, prevista nel nostro ordinamento, tende a garantire il lavoratore dal vedersi sollevato dal proprio incarico in modo immotivato, prevedendo, quindi, per il datore, che intenda piu’ avvalersi dell’opera del proprio dipendente, la procedura indicata dalla l. 604/1966, nonche’ dallo Statuto dei Lavoratori, pena l’illegittimita’ del provvedimento stesso. In base alla legge n. 604/1966, il licenziamento del prestatore puo’ avvenire per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c., requisito questo inteso come un gravissimo inadempimento del lavoratore.
Ai fini della sussistenza della giusta causa, si riconosce rilevanza anche ai fatti esterni al lavoro, ma esclusivamente nei limiti in cui siano tali da comportare violazione degli obblighi contrattuali del prestatore e ad incrinare il suo rapporto, incidendo, quindi, sulla fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti.
Il licenziamento è ammesso anche per giustificato motivo oggettivo e/o soggettivo. Il primo attiene a ragioni inerenti l’attivita’ produttiva, l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento della stessa. In questo caso, quindi, sull’interesse del lavoratore al posto di lavoro prevalgono le esigenze tecniche ed economiche dell’impresa.
Il giustificato motivo soggettivo, invece, consiste in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro e si distingue dalla giusta causa dal punto di vista quantitativo, perche’ si presenta come un inadempimento di minore gravita’ (assume rilevanza l’elemento della colpa o del dolo e vanno tenute in conto le concrete circostanze oggettive).
Con la Sentenza n. 24361 del 01.12.2010, la Suprema Corte ribadisce la necessita’ del requisito dell’immediatezza della contestazione, da intendersi in modo ampio e non restrittivo essendo questo principio compatibile con l’intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal lavoratore. Inoltre, la stessa conferma l’ormai consolidato orientamento per cui e’ da considerarsi legittimo il licenziamento per scarso rendimento, quando, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attivita’ resa dal lavoratore stesso e qualora, dagli elementi prodotti dal datore di lavoro, risulti una evidente violazione della diligenza nella collaborazione dovuta dal dipendente, tanto piu’ se la sanzione sia stata preceduta da numerosi richiami e se la condotta negligente sia idonea a creare malumore nella unità produttiva, pur non cagionando un danno economico al datore di lavoro ne’ compromettendo la qualita’ di rendimento e capacita’ professionale dimostrate in precedenza. Tale licenziamento e’ normato dalla Legge n. 604 del 1966, in particolare all’art. 3, che sancisce la legittimita’ del licenziamento intimato per motivi che attengono al negligente inadempimento degli obblighi contrattuali esistenti in capo al lavoratore, tra cui quello di diligenza ai sensi dell’art. 2104 c.c., quale specificazione del principio generale di cui all’art. 1176 c.c., che si sostanzia sia nell’esecuzione della prestazione lavorativa secondo la particolare natura di essa, in relazione all’interesse del datore di lavoro ad un’utile risultato. Si tratta di un orientamento consolidato ( V. anche Cass. n. 1632 del 2009) con il quale la S.C. ribadisce, tra l’altro, come il datore di lavoro non possa limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilita’, ma, fornendo dettagliato e comprensibile richiamo ai criteri di confronto utilizzati per la valutazione.
Insomma un chiaro si al licenziamento per scarso rendimento , ma solo se le infrazioni del lavoratore sono tempestivamente contestate ed adeguatamente provate

lunedì 26 marzo 2012

Così i nuovi Licenziamenti per motivi economici della riforma Monti

In un contesto in piena evoluzione non è semplice tracciare un percorso prevedibile. Ma quale scenario avremmo provando a verificare il percorso giuridico di una causa per licenziamento per motivi economici? Basandoci sugli elementi ancora incompleti che abbiamo in mano, emerge un quadro «verosimile». Il licenziamento per motivi economici è quello che prevede il maggior numero di novità: per motivi economici non si intende lo stato di crisi, ma ragioni di gestione aziendale. Un' impresa può decidere di licenziare il suo centralinista perché ritiene più utile acquistare un software che gestisca il traffico telefonico. Si tratta di una motivazione economica e pertanto inizia l' iter previsto dalla riforma. Il primo atto è l' invio di una lettera alla direzione territoriale del lavoro. Nella lettera l' azienda comunica la volontà di licenziare il suo centralinista spiegando i motivi gestionali legati alla decisione. Si istituisce una commissione per gestire la conciliazione. Il decreto appena varato prevede che la commissione convochi le parti entro sette giorni dal ricevimento della lettera. Questo è il punto che suscita più perplessità tra gli addetti ai lavori: pare improbabile che la convocazione possa avvenire entro una settimana in città come Milano in cui si registrano 20 mila nuove cause di lavoro all' anno. Si ricorda ancora il fallimento della conciliazione obbligatoria in tema di lavoro che accumulava molto ritardo. Tra l' altro, notano gli esperti, nel testo manca un riferimento al tetto massimo di attesa: di solito, decorsi 60 giorni, si considera espletato il passaggio amministrativo. Invece in questo caso l' azienda non potrà licenziare finché non avrà completato la conciliazione. Quando la commissione avrà convocato le parti inizierà il confronto in cui l' azienda dovrà dimostrare che non esiste alternativa all' indennizzo e il lavoratore cercherà di sostenere le ragioni per cui il suo licenziamento è infondato, indicando magari opzioni alternative di ricollocamento. Il testo della riforma sottolinea che il comportamento delle parti davanti alla commissione di conciliazione sarà registrato in un verbale e consegnato al giudice nel caso in cui la conciliazione dovesse fallire. Il giudice valuterà e sanzionerà atteggiamenti scorretti. La commissione di conciliazione alla fine dei confronti può comunque formulare la sua proposta. Se le parti la rifiutano, la causa passa al dibattimento in tribunale. Superata la fase conciliatoria, il datore di lavoro può mandare la sua raccomandata di licenziamento al lavoratore il quale ha 60 giorni per impugnarla (basta una lettera) e 270 giorni (dal ricorso) per depositare l' impugnazione. A questo punto si verifica spesso che il lavoratore, avendo ricevuto la lettera, si metta in malattia. La condizione di malattia infatti sospende l' efficacia del licenziamento. La legge prevede, al minimo, 180 giorni di malattia ma alcuni contratti collettivi ne prevedono da 12 a 18 mesi. Ma torniamo all' iter normale: gli esperti prevedono che quando l' azienda comunicherà il licenziamento per motivi economici, la maggioranza dei lavoratori reagirà impugnando il licenziamento e cercando di dimostrare che avviene per motivi disciplinari o discriminatori (che prevedono il reintegro). Toccherà al giudice accertare se si tratti di motivo economico mascherato o meno, tenendo presente che il giudice, nel caso accertasse che i motivi sono realmente legati alla gestione, non può entrare nel merito della scelta aziendale. In poche parole se il giudice accerta che un' impresa ha realmente licenziato un centralinista per motivi strategici e non disciplinari, non può chiedere all' azienda conto del perché preferisca un software a una persona. Per questa fase del dibattimento il decreto del Consiglio dei ministri ha applicato il rito abbreviato. Le cause per i licenziamenti dunque dovranno avere una corsia rapida. Diverse le ipotesi: dall' aumento del personale dedicato a queste cause alla creazione di un tetto ai rinvii (per esempio massimo sette giorni) fino all' adozione della procedura d' urgenza dell' articolo 700. In questo caso infatti il lavoratore dovrà dimostrare di avere tali problemi economici da non poter sostenere il normale iter della causa (rimanendo senza stipendio). La causa abbreviata deve permettere al giudice di accertare prima se realmente la ragione del licenziamento è economica. Se questo aspetto non è accertato il licenziamento verrà dichiarato nullo, se è confermato, si passerà alla quantificazione dell' indennizzo che va da 15 a 24 mensilità. In questo frangente il giudice terrà conto anche di un eventuale rifiuto del lavoratore di accettare l' intervento di un' agenzia di ricollocamento. Espletato il primo grado, la causa procede poi verso gli altri gradi di giudizio.
  **** I tempi
Il lavoratore licenziato ha 60 giorni di tempo dal ricevimento della lettera di licenziamento per impugnarla e 270 giorni dal procedimento per depositare l' impugnazione. L' efficacia del licenziamento può essere sospesa per malattia. La legge prevede al minimo 180 giorni
**** Il procedimento
- La fase preliminare
Nel procedimento innescato dall' annuncio del licenziamento, si tenta un accordo davanti a una commissione. Il comportamento delle parti (per esempio l' ostruzionismo di uno degli attori) verrà tenuto in considerazione in tribunale in caso di mancato accordo Il tribunale Se la conciliazione non va in porto si passa davanti al tribunale. Il giudice del lavoro dovrà accertare che alla base del licenziamento ci sia una reale motivazione economica. Nel caso in cui si rivelasse un licenziamento disciplinare o discriminatorio mascherato, esso sarà considerato nullo.
- L' indennizzo
Se il giudice accerta l' esistenza di un motivo economico alla base del licenziamento, decide l' indennizzo a favore del lavoratore. Esso può andare da 15 a 24 (o 27) mensilità. Il giudice non può entrare nel merito delle motivazioni economiche addotte dall' impresaIl reintegro Avviene quando il giudice accerta che la motivazione economica è inesistente o falsificata. Questa forma di tutela dei lavoratori è estesa anche alle aziende che occupano meno di 15 dipendenti, finora escluse dall' ambito dell' attuale articolo 18

lunedì 19 marzo 2012

Pubblico un'interessante articolo anche se non è specificatamente rivolto ai casi di liceziamento per motivi aziendali ed organizzativi, ma è sempre inerente ai temi di organizzazione del personale.   
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Una recente pronuncia della Corte di cassazione accende il faro su alcune aree di non tutela per il lavoratore dipendente. Infatti, in caso di licenziamento disciplinare, materia spinosa nel diritto del lavoro, la fattispecie esaminata con la sentenza n. 3060/2012 afferma che il soggetto che si assenta senza giustificazione dal lavoro per ben cinquanta giorni è suscettibile di legittimo licenziamento anche se non è stato affisso il codice disciplinare.
Infatti, precisa la Corte che la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti si applica al licenziamento disciplinare soltanto quando questo sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva o validamente poste dal datore di lavoro, e non anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative del recesso previste direttamente dalla legge o manifestatamente contrarie all’etica comune o concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro ovvero all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa del datore di Lavoro (v. anche Cass. 18 agosto 2004 n. 16291 e Cass.14 settembre 2009 n. 19770).
 

lunedì 12 marzo 2012

Lavoro, «modello tedesco» per la riforma dell'articolo 18.

L'esecutivo Monti procede per tappe nella trattativa sulla riforma del mercato del lavoro che dovrà concludersi entro una decina di giorni. Il round di oggi pomeriggio, il sesto presso il ministero del Lavoro, tra governo e parti sociali, non sarà quello decisivo ma servirà a mettere alcuni punti fermi sui contratti e gli ammortizzatori sociali, la parte dell'accordo che divide di meno.
Articolo 18. Secondo la proposta, l'articolo 18, così com'è, resterebbe solo per i licenziamenti discriminatori. Per i licenziamenti economici, secondo la proposta del leader della Cisl, Raffaele Bonanni, è previsto un controllo da parte del giudice limitato alla verifica che non si tratti di un licenziamento discriminatorio. Ma il giudice non potrà sindacare sull'effettività del motivo economico-organizzativo. Il licenziamento seguirà una procedura sindacale e non ci sarà un diritto al reintegro ma solo a un congruo indennizzo.
Il terzo tipo di licenziamento è quello chiesto dalle imprese e riguarda i motivi disciplinari: in questo caso oggi il lavoratore, se il giudice ritiene che non esista il giustificato motivo, ottiene reintegro e indennizzo. Con la riforma invece avrebbe diritto, a discrezione del giudice, al reintegro o all'indennizzo fino a 18 mensilità, secondo il modello tedesco

Questo articolo, tratto dal "Corriere" di oggi (12/3/2012) fa capire quanto sia artificiale e priva di significato reale l'attuale polemica sull'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Tutti i punti di cui alla proposta sono già presenti e previsti nell'odinamento oggi vigente con un unico distinguo: dove si dice che deve essere il Giudice a decidere se si deve procedere al reintegro o all'indennizzo oggi è previsto che sia il lavoratore a scegliere, il quale opta per oltre il 99% dei casi per l'indennizzo.
Se questa è la riforma che cambierà in meglio il mercato del lavoro in Italia, sono molto preoccupato!

venerdì 9 marzo 2012

La vicenda delle cosiddette "clausole di gravidanza" nei contratti di lavoro autonomo ha destato comprensibile scalpore nell’opinione pubblica e nei mezzi d’informazione.
E’ appena il caso di ricordare che per la lavoratrice dipendente vige il divieto di licenziamento dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino (con pochissime eccezioni).
In aggiunta a ciò, qualsiasi atto discriminatorio per ragioni connesse al sesso o allo stato di gravidanza o maternità è da ritenersi senz’altro nullo. Ma il livello di protezione della gravidanza cambia non appena si esce dal perimetro del lavoro subordinato.
Una collaboratrice coordinata e continuativa «a progetto» ha diritto, in caso di gravidanza, solo ad una sospensione del rapporto contrattuale senza corrispettivo, con proroga della scadenza naturale del contratto di centottanta giorni (salvo diversa e più favorevole disciplina del contratto individuale).
Le lavoratrici autonome non rientranti nella categoria appena menzionata, infine, pur essendo tutelate dal punto di vista previdenziale, non hanno, in caso di impedimento della prestazione dovuto alla gravidanza, alcuna forma di protezione del rapporto lavorativo.
Quest'ultimo punto, tuttavia, apre tutta una serie di considerazioni circa la reale portata dei contratti di lavoro autonomo (con partita IVA) i quali, spesso e volentieri nascondono posizioni lavorative sostanzialmente subordinate. Si pensi alle ipotesi di "monocommittenza".
Quando tra aziende e questo tipo di lavoratrici nascono dei problemi (di qualiasi tipo), la vicenda deve necessariamente passare da un Tribunale del Lavoro, con tutte le conseguenze del caso, dato che non esiste una regolazione precisa della materia. Forse sarebbe il caso di metterci mano.
 

mercoledì 7 marzo 2012

STUDIO LEGALE SILVA

STUDIO LEGALE SILVA

Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento - I licenziamenti per necessità aziendali: Secondo Piero Ichino e Paolo Pinotti: "Per difende...

Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento - I licenziamenti per necessità aziendali: Secondo Piero Ichino e Paolo Pinotti: "Per difende...: Secondo Piero Ichino e Paolo Pinotti: "Per difendere il lavoratore da licenziamenti ingiusti, in Italia, invece di monetizzare, si tende qu...
Secondo Piero Ichino e Paolo Pinotti: "Per difendere il lavoratore da licenziamenti ingiusti, in Italia, invece di monetizzare, si tende quasi sempre ad andare dal giudice per valutare l’esistenza o meno della giusta causa. I tempi dei procedimenti giudiziari variano moltissimo da città a città: si va dai 200 giorni di Torino, ai 266 giorni di Milano, ai 429 a Roma. Anche all’interno dello stesso tribunale, poi ci sono giudici lenti e giudici veloci. A Roma, per esempio, si va da 179 a 693 giorni. Non solo, ma varia in modo estremo, da giudice a giudice, la percentuale di volte in cui viene data ragione al lavoratore o al datore di lavoro. Insomma, una vera lotteria. Molto costosa per le aziende, e non troppo conveniente neanche per i lavoratori. Lo stato di cose sembra servire solo ad arricchire gli avvocati e a costringere i giudici a occuparsi di controversie che potrebbero benissimo essere risolte in altro modo: ad esempio stabilendo un prezzo adeguato per la possibilità di licenziare".  Il resto dell'articolo: http://www.linkiesta.it/giudice-lavoro#ixzz1oPyK6EBt
Io non condivido questa analisi, nel senso che se i dati sono corretti non ha senso modificare il sistema "stabiliendo un prezzo adeguato per la possibilità di licenziare".
Sarebbe molto più logico riformare la macchina della Giustizia per rendere più efficente la procedura e fare in modo che i tempi delle cause siano omogenei e il più possibile corti.
Contrariamente, si andrebbe incontro ad un problema, a mio avviso, molto più arduo: quale è il prezzo adeguato per la possibilità di licenziare?


martedì 6 marzo 2012

Pubblico una interessante sentenza della Cassazione in cui si fa un collegamento (forse un po' forzato) tra la disciplina dei licenziamenti individuali per esigenze aziendali e la normativa dei licenziamenti collettivi.

Quando il giustificato motivo oggettivo di licenziamento si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale assolutamente omogeneo e fungibile, ai fini del controllo della conformità della scelta dei lavoratori da licenziare ai principi di correttezza e buona fede di cui all’art. 1175 c.c. non essendo utilizzabili né il normale criterio della “posizione lavorativa” da sopprimere in quanto non più necessaria, né tanto meno il criterio della impossibilità di repechage (in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori sono potenzialmente licenziabili), ben può farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che l’art. 5 l. n. 223 del 1991 ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità. (Cass. 28/3/2011 n. 7046, Pres. Foglia Est. Mammone, in Orient. Giur. Lav. 2011, 189)

venerdì 2 marzo 2012

Uno dei casi che rendono necessario il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è sicuramento la crisi aziendale. Un'azienda in crisi, o prossima alla chiusura per fallimento o messa in liquidazione, ha facolta per vari motivi di ricorrere a questa pratica. Per svariate ragioni di natura economica o tecnica, è possibile decidere di licenziare uno o più lavoratori (anche tutti se è necessario).

Se il licenziamento interessa più di cinque lavoratori in un periodo di tempo di 120 giorni, il datore di lavoro è tenuto ad osservare la disciplina prevista per i licenziamenti collettivi. Se questa soglia non viene raggiunta, è applicabile la disciplina generale sui licenziamenti.

Possono essere casi di giustificato motivo oggettivo, le seguenti cause:
• La chiusura dell'attività produttiva
• La soppressione del posto di lavoro
• Introduzione di nuovi macchinari che necessitano di minori interventi umani
• Affidamento di servizi ad imprese esterne