Licenziamento
per giustificato motivo oggettivo e riduzione del costo del lavoro
(Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 24 febbraio 2012, n. 2874)
Costituisce giustificato motivo oggettivo di
licenziamento un riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una
più economica gestione di essa e deciso dall’imprenditore, non pretestuosamente
e non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a
sfavorevoli situazioni - non meramente contingenti - influenti in modo
decisivo sulla normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese
di carattere straordinario, senza che sia rilevante la modestia del risparmio
in rapporto al bilancio aziendale.
Una piccola azienda in crisi licenzia tre dipendenti e
poi assume due apprendisti per sostituirli, poco tempo dopo delocalizza la
produzione in Romania e cessa l’attività. Uno dei tre lavoratori licenziati
impugna il licenziamento e propone ricorso. Il licenziamento viene ritenuto
illegittimo sia in primo grado che in appello, essenzialmente per la successiva
assunzione dell’apprendista. Il ricorso in Cassazione proposto dall’azienda
viene accolto dalla S.C. che cassa con rinvio la sentenza di merito. Ribadendo
il consolidato orientamento il Supremo Collegio statuisce che costituisce
giustificato motivo oggettivo di licenziamento “l’ipotesi di un riassetto
organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di
essa e deciso dall’imprenditore, non pretestuosamente e non semplicemente per
un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni - non meramente
contingenti - influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, ovvero per
sostenere notevoli spese di carattere straordinario, senza che sia rilevante la
modestia del risparmio in rapporto al bilancio aziendale, in quanto, una volta
accertata l’effettiva necessità della contrazione dei costi, in un determinato
settore di lavoro, ogni risparmio che sia in esso attuabile si rivela in
diretta connessione con tale necessità e quindi da questa oggettivamente
giustificata”.
Nell’esprimere il principio, la Cassazione richiama
due precedenti: le Sezioni Unite dell’11 aprile 1994, n. 3353 e la sentenza del
10 maggio 1986, n. 312.
Invero nel primo dei precedenti richiamati, il Supremo
Collegio aveva escluso che potesse sostituirsi un lavoratore con un altro meno
costoso al mero fine di risparmiare sul costo del personale. In quel caso,
infatti, le Sezioni Unite, avevano ritenuto il recesso intimato a un’insegnante
laica sostituita da una religiosa che svolgeva attività didattica a titolo
gratuito, non sorretto da giustificato motivo oggettivo, argomentando che se diventassero
“rilevanti le economie sulle retribuzioni dei dipendenti, ogni datore di lavoro
potrebbe licenziare i suoi lavoratori più anziani per sostituirli con quelli
più giovani, che per ragioni di età e di carriera, hanno diritto a retribuzioni
inferiori”. La S.C. precisava, tuttavia, che la scelta espulsiva sarebbe stata
legittima ove legata ad “una diversa organizzazione aziendale, imposta dalle
necessità finanziarie…o…dall’esigenza di produrre a costi più competitivi”, e
non ad un mero “risparmio sulla retribuzione dovuta al personale dipendente”.
Nell’altro precedente richiamato, la Cassazione ha
confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto giustificato il
licenziamento di lavoratori agricoli salariati fissi sostituiti con operai
avventizi per far fronte a necessità stagionali, dal momento che l’azienda
agricola aveva dimostrato la sussistenza dell’esigenza di procedere ad una
riorganizzazione del lavoro al fine di riequilibrare il rapporto costi - ricavi
mediante una riduzione degli oneri retributivi e previdenziali, pena l’uscita
dell’impresa dal mercato (Cass., sez. lav., 10 maggio 1986, n. 3127).
La sentenza annotata fa applicazione di tali principi
specificando che, sulla base delle circostanze emerse nel giudizio di merito,
non si era realizzata una “mera sostituzione di un lavoratore a tempo
indeterminato con un apprendista”, bensì un “ridimensionamento di personale”
dettato dalla necessità, comprovata dalla reale difficoltà economica, di
contenere i costi, difficoltà poi confermata dalla successiva delocalizzazione
e cessazione dell’attività.
Quindi, l’illegittimità del licenziamento per
sostituzione del lavoratore con uno meno costoso (anche ove si tratti di un
collaboratore a progetto: cfr. Cass., sez. lav., 19 gennaio 2012, n. 755) permane
fintantoché il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare un più ampio
processo di riorganizzazione produttiva dovuta ad una crisi o ad una ridotta
produttività che rende non più sostenibile il costo del lavoro attuale.
Il divieto di sostituzione opera peraltro solo con
riferimento all’epoca del licenziamento ed a quella immediatamente successiva.
Dopo il trascorrere di un congruo periodo, il datore può procedere a nuove
assunzioni (cfr. Cass., sez. lav., 20 maggio 2009, n. 11720 dove la S.C. ha confermato
la sentenza di merito che ha ritenuto congruo un periodo di otto mesi dalla
data del recesso).